Aprirsi, sbocciare, mostrare ciò che più piace: questo è l’animo di MyFavThing. Ed è inevitabile trovare una liaison tra mondi solo in apparenza lontani. Come in questo caso, in cui si mettono in parallelo – sinuosamente, con una certa grazia – solidi e liquidi, libri e vino. Due cose che sembrano non parlarsi, ma che in realtà hanno moltissimo in comune.
Non si tratta solo di atmosfera: luci soffuse, mood. Si parla di impatto. Sarà capitato almeno una volta di scegliere un libro per la copertina, o per il titolo. Lo stesso accade con i vini: ci attirano per il nome, per l’etichetta. Del resto, le enoteche o gli scaffali dedicati dei supermercati sono o no una biblioteca dei vini? Una vinoteca?
Le ore in libreria sono scandite da un lungo corteggiamento del libro giusto. Si fantastica sulle promesse che ogni volume sembra farci, misteri e conoscenze ancora custodite tra le pagine, a noi del tutto ignote. Possiamo scegliere un libro perché conosciamo l’autore, o perché apprezziamo il genere – e già questo dice molto di come cerchiamo rassicurazioni nella forma. Ma la verità è che spesso i libri li scegliamo proprio perché non li conosciamo. Perché ci promettono qualcosa. Perché pensiamo possano aggiungerci qualcosa: come persone, come pensanti, o semplicemente come esibizione da intellettuali in cerca di ammirazione. E, perché no, ci lasciamo conquistare dalla copertina.
Quella sobria degli Adelphi – per veri lettori che non si lasciano “fregare” dal marketing (o forse proprio dal marketing del non marketing). Le cornici bianche degli Einaudi. I quadri pieni degli Oscar Mondadori. È un po’ come lasciarsi irretire dalle etichette storiche e sontuose di Firriato, dai caratteri rigorosi dei Nebbioli piemontesi – austeri, fatti a regola d’arte – o dal manierismo barocco delle bottiglie di Chianti e Brunello di Montalcino, che sembrano raccontare più la storicità della Toscana che il vino in sé.
Ogni volta che entro in un’enoteca, proprio come accade in libreria, parte una musica silenziosa. Una melodia che cambia ogni volta, a seconda del contesto. E lì, davanti agli scaffali eleganti, scatta la scintilla: l’amore a prima etichetta. Prima ancora di pensare al vino, a come servirlo, con chi berlo o a quali pensieri mi condurrà… io sono già perdutamente innamorata della bottiglia.
L’arte visiva gioca ancora un ruolo chiave. Trasposta sulla bottiglia, suggerisce scenari, sensazioni. Una sola etichetta può evocare un contesto rustico e conviviale, oppure elegante e intimo. Il vino e il suo contenitore sono un esempio perfetto di quanto la forma, a volte, parli quanto la sostanza. Ci sono bottiglie bellissime, che sembrano sedurre. Vorresti conservarle, metterci dei fiori, trasformarle in lampade.
È quello che vorrei fare, ad esempio, con una delle nostre bottiglie: Il Mille e una Notte di Donnafugata. Un’etichetta che ti tende la mano e ti accompagna in aromi e sapori che immagini già intensi, speziati, decisi, persistenti. Un blu profondo, un giallo burro chiarissimo, e qua e là note d’arancio. Non sto parlando della bevuta (non l’ho ancora assaggiato), ma delle suggestioni dell’etichetta stessa. E spero, con questo preludio, che il gusto le sia all’altezza.
Ma è davvero così? L’ etichetta parla e anticipa il gusto del vino? O in generale, come si arriva a costruire l’etichetta perfetta per quel vino? L’abbiamo chiesto direttamente a chi lo fa con i propri vini…
Le etichette come soglie: l’alchimia visiva di Stanza Terrena
Il nome Stanza Terrena nasce con un duplice intento: da un lato, racconta del luogo fisico in cui tutto ha avuto origine: la cantina all’interno di Villa Santo Spirito, a Passopisciaro, uno dei luoghi più vocati per la coltivazione del Nerello Mascalese; dall’altro, su un piano più simbolico ed esoterico, “stanza terrena” è lo spazio in cui lo spirito diventa materia. È il punto in cui l’energia sottile del paesaggio, della storia e della cultura si condensa in forma concreta: il vino.
Il vino è trasformazione. L’uva è materia grezza, viva, instabile. Durante la fermentazione, attraversa un processo di mutazione che non è solo chimico: è anche alchemico. Si parte da una sostanza naturale e concreta, ma si approda a qualcosa che appartiene a un’altra dimensione — fatta di gusto, ma anche di stile, pensiero, intenzione. Ci si chiede che vino fare, ma anche perché farlo in quel modo. E qui entrano in gioco non solo l’enologia, ma anche l’arte, la filosofia, la psicologia. Stanza Terrena prende spunto da questa tensione, da questa metamorfosi continua, per costruire il proprio universo narrativo.
Nel caos creativo del terroir etneo, dove ogni annata si reinventa e nessuna vendemmia è mai uguale, l’alchimia diventa la chiave per trovare continuità. L’Etna è materia in movimento, una terra che muta pelle a ogni respiro. In questo scenario instabile e potentissimo, l’alchimia offre un metodo di lettura simbolico e profondo, capace di unire passato, presente e futuro attraverso un linguaggio universale: quello della trasformazione.
Le etichette dei vini Stanza Terrena non sono semplici vestiti della bottiglia, ma forme archetipiche: segni vivi che guidano l’occhio e l’anima, suggerendo un cammino interiore prima ancora che sensoriale. Sono soglie visive, che anticipano un’esperienza emotiva e culturale.
Ogni vino incarna una fase dell’Opus alchemico, il processo di trasmutazione della materia e dello spirito. Dalla Nigredo alla Rubedo, passando per Albedo e Citrinitas, il percorso è insieme enologico e esistenziale. Il vino non è solo bevanda, ma rito trasformativo. Le immagini sulle bottiglie non illustrano: evocano. E lo fanno per ricordare che ciò che cambia può avere un senso solo se trova una forma.
In questo modo, le etichette diventano ancore simboliche in un paesaggio che non smette mai di mutare. Raccontano la storia del vino, certo, ma anche quella dell’uomo etneo: prima inconsapevole, poi in cerca di identità, infine compiuto nella sua metamorfosi. Sono immagini che parlano al profondo, strumenti per chi ha voglia di leggere, non solo di bere.
La Vie Fuille – Nigredo
È il principio, l’ombra. Un vino all’antica, che affonda le sue radici nella storia dimenticata dell’Etna: un tempo il Nerello Mascalese veniva vinificato con macerazioni corte, in botte di castagno, per essere poi venduto sfuso nel Nord Italia o in Francia. Un vino senza volto, inconsapevole, nato per necessità. In questa etichetta vive il corvo nero, simbolo della Nigredo, la fase alchemica della putrefazione, del caos originario. Non c’era identità, solo sopravvivenza. Ma proprio come accade nel profondo dell’essere umano, anche nella terra una crisi può diventare soglia.
Villa Santo Spirito – Albedo
La luce dopo le tenebre. Rappresenta il momento in cui qualcosa si rischiara: è l’arrivo della consapevolezza, del desiderio di dare forma alla materia. L’immagine è quella del cigno bianco, che emerge dal buio come segno di grazia e purificazione. Simbolicamente, racconta l’arrivo di imprenditori toscani e nuove scuole di pensiero enologico: le barrique, le lunghe macerazioni, l’idea di stile e riconoscibilità. È la fase in cui l’Etna, dopo secoli di vino anonimo, diventa territorio identitario, conquista la critica internazionale e si riscopre nel suo valore. È l’uomo etneo che inizia a credere nel vino come forma d’arte.
Nasca – Rubedo
La conclusione del processo, ma anche un nuovo inizio. Nasca rappresenta il presente, ma è fatto sulla vigna più vecchia. Qui nasce un vino moderno, con macerazione carbonica, uno stile oggi riconoscibile a livello internazionale. Il suo simbolo – un uccello mitologico che si moltiplica – parla di compimento e moltiplicazione, ma anche di leggerezza e creatività. La Rubedo è l’unione degli opposti, la fusione finale tra spirito e materia. In termini etnei: è il momento in cui il nuovo nasce dal vecchio, e la ciclicità continua. È la fase adulta dell’enologia etnea, ma anche dell’identità personale di chi beve e crea.
L’alchimia del territorio e dell’uomo
Queste tre etichette, insieme, raccontano la trasformazione dell’Etna, ma anche quella dell’uomo. All’inizio si produceva vino solo per nutrirsi. Poi si è voluto capire cosa c’era dentro quella materia, darle un nome, uno stile, un’anima. Infine, si è giunti a giocare con le forme, a rinnovare con leggerezza, senza perdere profondità.
La vera alchimia non accade solo nel bicchiere, ma dentro chi guarda, assaggia, interpreta. E le etichette di Stanza Terrena sono gli specchi attraverso cui inizia il viaggio.
Le altre etichette:
Citrinitas – La Coscienza che Sorge
Il Carricante in purezza è protagonista di questo vino, ma le sue radici simboliche affondano in un’epoca remota. Un tempo, queste uve bianche venivano usate per ammorbidire il Nerello Mascalese nei blend tradizionali dell’Etna. Erano considerate secondarie, funzionali. Con Citrinitas, per la prima volta, si fanno luce da sole.
La fase alchemica della Citrinitas rappresenta l’aurora interiore: la materia, dopo essere stata dissolta e purificata, inizia a illuminarsi di consapevolezza. Il giallo citrino è il colore dell’intelletto risvegliato, della mente che si stacca dalla confusione e vede con chiarezza.
Nel bicchiere, il vino è teso, luminoso, minerale. Ma più ancora: è una presa di coscienza. È come se il territorio stesso, dopo aver cercato se stesso nell’ombra e nella forma, dichiarasse ora la propria voce chiara e diretta. Qui, l’uva bianca smette di essere strumento e diventa soggetto. È luce che rivendica il proprio spazio, e che illumina anche ciò che è stato.
Psicodramma – Nigredo Interiore – Il Teatro delle Ombre
Uno dei vini più profondamente simbolici del progetto. È fatto con Minnella in purezza, un vitigno che storicamente è stato piantato per la sua produttività, e usato per tagliare il Nerello Mascalese. Un’uva funzionale, mai protagonista. Oggi si sta quasi estinguendo, perché nessuno la pianta più.
In Psicodramma, la Minnella sale finalmente sul palco della vinificazione — da sola, senza filtri, senza maschere. Come in un vero psicodramma terapeutico, in cui il paziente-attore mette in scena le sue emozioni represse, questo vino mette in scena il dolore e l’identità dimenticata di un vitigno minore.
Macerato, profondo, ambiguo, il vino è una performance: a tratti sfrontata, a tratti fragile, sempre rivelatrice. Alchemicamente, Psicodramma è una Nigredo consapevole: non quella originaria e inconsapevole di La Vie Fuille, ma una discesa interiore lucida, teatrale, catartica. È la fase in cui si attraversano le ombre per renderle visibili, per trasformarle.
È l’ombra che prende parola. È il vino che grida: “ci sono anch’io”.
Ringraziamo @stanzaterrena e Giuseppe Grasso per il racconto e la concessione delle immagini, di cui tutti i diritti sono riservati.