Bibliosmia? Ossessione? Chimica? Fatto sta, che annusare i libri ci fa letteralmente perdere la testa.
Devo dire di essere particolarmente orgogliosa di questo titolo a cui ho pensato quando ho deciso di raccontarvi di questo universale e minuscolo gesto che ripeto ogni volta che apro un libro.
Una piccola ossessione, forse. Ma una di quelle che fanno battere il cuore ai lettori veri.
Quando apro un libro, la prima cosa che faccio – sempre – è annusarne le pagine. Chiudo addirittura gli occhi, manco avessi un fiore di primavera sotto le narici.
Ma è così e non riesco a farne a meno, tant’è che mi sforzo – e non poco – di leggere sul Kindle, che tanto mi fa perdere l’ebbrezza di una pausa in cui avvicino il libro al naso.
Al di là delle motivazioni chimiche di cui parleremo, l’annusare i libri è una pratica frequente e confortante che, negli appassionati di libri e di lettura, potrebbe voler alludere alla ricerca viva di un contatto con la storia che racconta oppure, se il libro nuovo non è, con il mistero dei suoi passati proprietari.
Il rituale dell’annusare i libri è un gesto intriso di sacralità, paragonabile, ad esempio secondo me, all’odore del caffè che si vuole sentire al mattino, che si celebra sia all’inizio, sia durante, sia a conclusione della lettura.
Quell’odore innesta nei c.d sniffatori di libri, affetti da quella che suole oggi essere definita come bibliosmia, una serie di piacevoli sensazioni rilassanti; forse per via della loro multisensorialità, di cui l’odore completa l’esperienza: il tocco, o liscio o ruvido, la vista, nella maggior parte dei casi, di font classiche impresse in inchiostro nero su una carta che poche volte è bianco latte, l’odore misterioso e avvolgente, che spesso ci portiamo sui polpastrelli con i quali sfogliamo i libri.
Esiste persino quella che potremmo chiamare una vera e propria industria dell’odore dei libri: nel tempo, infatti, sono stati fatti diversi tentativi per racchiudere in una boccetta l’esperienza immersiva delle biblioteche e delle librerie. Profumi pensati per evocare scaffali polverosi, carta ingiallita, legno antico. Quasi un modo per portarsi addosso — o meglio dire in questo caso, spruzzarsi addosso — una piccola biblioteca personale.
E allora mi sono chiesta: ma cosa ci rende così irresistibilmente attratti da quell’odore? Quali storie, oltre a quelle scritte, ci racconta il profumo di un libro?
Perché, se per noi lettori è nostalgia, rifugio, emozione… per qualcun altro è molecole, reazioni, aldeidi, lignina. Ed è proprio lì che entra in gioco la scienza, quella che ci svela la poesia nascosta nella chimica.
A spiegarci cosa succede davvero quando portiamo un libro al naso, c’è lei: Eva Munter, divulgatrice scientifica alias Chimica in Pillole, capace di trasformare formule e composti in storie affascinanti. Le ho chiesto di raccontarci il lato invisibile (ma molto profumato) della lettura.
Odore di libro
Per molte persone, l’odore di un libro di carta è incantevole e perfettamente riconoscibile. Sappiamo distinguere la carta nuova da quella vecchia e parte dell’esperienza di possedere un libro è anche e soprattutto annusarne la carta.
I libri possono ricordarci il cioccolato, il caffè, il fumo, il legno o la vaniglia. Ma perché siamo attratti dall’odore dei libri?
Intanto, per capire perché i libri emanano certi odori, dobbiamo guardare alla chimica. Gli odori caratteristici della carta antica sono causati da particolari sostanze chiamate composti organici volatili, o VOC. Questi composti evaporano facilmente a temperatura ambiente e diventano percepibili al nostro naso. Con il passare del tempo, la carta si degrada e rilascia sempre più di questi composti. Tuttavia, non tutte le carte invecchiano allo stesso modo: il tipo di materiale utilizzato per produrle influisce sulla velocità con cui si degradano e sul tipo di odore che emettono.
I libri sono composti da carta, inchiostri e colle, che contengono centinaia di sostanze chimiche volatili. Quando questi materiali si deteriorano nel tempo, rilasciano questi composti nell’aria, creando l’odore caratteristico che associamo ai libri vecchi. I libri nuovi, invece, emettono VOC diversi, che derivano dagli inchiostri, dai solventi, dagli adesivi e dagli altri prodotti chimici usati nella loro produzione. Questi composti danno al libro appena stampato quel profumo fresco e artificiale che molti trovano affascinante. Ma non è solo la composizione del libro a influenzare l’odore: anche l’ambiente in cui viene conservato gioca un ruolo importante. Se un libro è stato tenuto in un luogo polveroso, umido, esposto al sole o alla muffa, il suo odore sarà diverso. Inoltre, le abitudini di chi ha usato il libro contribuiscono anch’esse: magari qualcuno ha mangiato un panino mentre leggeva, aveva un bicchiere di whisky, fumato una pipa o si è seduto vicino al fuoco? Forse il libro è stato usato per livellare un tavolo o per schiacciare una zanzara, o magari tra le sue pagine sono stati pressati dei fiori…tutti dettagli che fanno sì che ogni libro sia unico e che abbia un odore diverso.
Ma non solo, per chi si occupa di conservazione, analizzare quali VOC sono presenti e in che quantità può essere un ottimo modo per capire quanto un libro è deteriorato e quanto è stabile nel tempo. Per aiutare studiosi e restauratori a “leggere” gli odori dei libri, è stato ideato uno strumento davvero curioso: la Historic Book Odour Wheel, cioè la ruota degli odori dei libri storici.
M.L.
