Facciamo un finto indovinello: è bella, è utile, la usiamo da secoli e non sembra destinata a grandi cambiamenti.
Parliamo della penna, uno degli oggetti che – per antonomasia – sopravvive al tempo, restando sempre sé stessa, sebbene sempre più il suo uso venga scoraggiato, in modo implicito o esplicito, a favore di tastiere e tap (e presto nemmeno quelle).
Dalla calligrafia al digitale
Siamo passati dalla calligrafia alle font digitali – che curiosamente riprendono la grafia umana, dando un’occasione a chi ha sempre odiato la propria, non particolarmente aggraziata.
Abbiamo così meccanizzato un’azione che, a mio parere, può definirsi un’esperienza corporale, certamente più faticosa dello scrivere al computer.
La mano si stanca, si crea il solco al dito, sarebbe utile fare pause; a volte si scrive male, e per molti non è possibile proseguire senza rimediare.
Molto più facile pigiare sulla tastiera (e che bel verbo, pigiare) oppure scrivere sullo smartphone.
Qualunque sia la tecnologia, è chiaro: al proliferare di strumenti per comunicare, usiamo sempre meno il nostro corpo. Dalle aziende alle scuole, dove chi scrive manualmente lo fa – ahimè – sempre più spesso in stampatello maiuscolo (povero, amato corsivo).
E pare che non vada affatto bene.
Scrivere a mano: un gesto prezioso
Al di là delle considerazioni oggettive, scrivere è indubbiamente bello. Scrivere in corsivo lo è ancora di più.
Attraverso la scrittura diamo forma alla nostra identità: è un gesto quotidiano, unico, come la voce.
C’è un’estetica nel gesto di impugnare elegantemente una penna, calibrare la pressione sulla carta, osservare le variazioni della grafia.
La scrittura manuale abitua lo sguardo alle mutazioni di dettaglio: all’inchiostro e al suo colore, all’intensità che cambia a seconda di quanto la penna sia consumata.
È un atto che allena alla lentezza, alla riflessione simultanea, fornendo costellazioni di input diversi al cervello.
E il risultato finale? Una lista della spesa scritta in corsivo ha un fascino che una nota sullo smartphone non potrà mai eguagliare.
Scrittura manuale e artigianato grafico
Non facciamo di tutta l’erba un fascio. Non esiste un’intera società in rivolta per l’abbandono della scrittura manuale.
Ma l’antico ha sempre qualcosa da insegnarci: il corsivo è elegante artigianato, un’arte che torna ciclicamente come forma di resistenza estetica.
Proprio mentre il digitale uniforma gesti e abitudini, si diffonde il culto della calligrafia: una reazione creativa, delicata, leggera, che si apre a nicchie ricercate e desiderate. Non solo nostalgici o appassionati: anche io ne faccio parte, visto che ho deciso di farmi realizzare dei with compliments tipografici da firmare a mano, per regali e ringraziamenti.
Lusso, design e scrittura
Questa riscoperta non arriva solo dal basso, ma anche dall’alto. Moda e design riscoprono la scrittura come simbolo di distinzione.
Accade nelle boutique, nei temporary store, negli eventi esclusivi: buste vergate a mano, iniziali ricamate, inviti calligrafati dal vivo.
Non è una moda, è un messaggio.
In un tempo in cui tutto si sfiora e nulla si lascia davvero toccare, il ritorno all’artigianato grafico è una forma di resistenza.
Lo si vede nei progetti speciali delle maison – Cartier, Montblanc, Hermès – che affidano a maestri artigiani dimostrazioni pubbliche e personalizzazioni live.
Ma anche nelle collaborazioni con artisti e calligrafi, che riportano l’inchiostro al centro dell’esperienza.
La penna come dichiarazione di stile
Perché una penna non è solo uno strumento. È una dichiarazione di stile.
Un oggetto che scrive, certo. Ma che, ancora prima, racconta chi siamo.
E se la penna di pavone simboleggia immortalità, bellezza e regalità, quale immagine migliore per questo testo se non la mia plum de paon, realizzata per la serie The Cabinet of Curiosities?

The Cabinet of Curiosities Series – Le Plum de Paon – Nicchi e Panneggi Illustration – Tutti i diritti sono riservati.